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L’INTERVISTA: LA POLVERIERA KIEV BRUCERA’ PER ANNI

Elisabetta Trenta, Ministro della Difesa nel governo Conte Uno, oggi insegna Storia delle Relazioni Internazionali e intelligence e analisi strategica alla Link Campus University di Roma. Fuoriuscita dal Movimento Cinque Stelle, ha fondato un marchio tutto suo, “Nuovi Orizzonti per l’Italia”, e si prepara a scendere in campo alle prossime politiche.

Mario Draghi a Washington prende le distanze dalla linea dura di Joe Biden. Un cambio di linea?

Ricordare al presidente Biden che l’Europa “cerca la pace”, è più che altro un modo per tranquillizzare le anime della compagine di governo. Quelle più recalcitranti dinanzi all’ipotesi di un’escalation militare.

Dunque solo una mossa tattica?

Se il premier volesse prendere davvero una posizione dura, dovrebbe stabilire condizioni precise: sì a nuove armi all’Ucraina, ma in cambio di parole chiare sul “dopo”, sui reali obiettivi strategici. Ma queste garanzie, purtroppo, nessuno le ha chieste.

Insomma, anche lei parla di “subalternità” agli Usa?

Con questo spirito militarista, questa guerra si trascinerà a lungo. Nascerà una sorta di Somalia al centro dell’Europa, una polveriera sempre accesa per anni. Vorrei capire dal governo: dove abbiamo intenzione di fermarci? Fin quando continueremo a cedere armi? E’questa la domanda che Draghi avrebbe dovuto rivolgere a Biden. Quando ho parlato con Di Maio, all’inizio della guerra, gli ho detto: Luigi, hai ragione su tutto, ma superato quale limite la deterrenza diventa escalation? Non c’è stata risposta.

Non pensa che il vero dilemma sia: dove ha intenzione di fermarsi Vladimir Putin?

Ragionare in quest’ottica penso sia molto pericoloso. Superato il punto di non ritorno, tutte le parti in lotta rotolerebbero giù da un piano inclinato, prigioniere di un meccanismo difficile da arrestare.

Di questo meccanismo farebbe parte anche la richiesta della Finlandia di entrare nella Nato?

Non credo che questo sia un percorso per la pace. Se la Finlandia vuole entrare nella Nato, dovremmo consentirglielo immediatamente. Ma limitarsi agli annunci e allungare i tempi – perché nella stessa Nato non c’è unanimità – significa mettere in pericolo tutti, Finlandia compresa.

Portare Putin al negoziato significa fare delle concessioni. Quali?

Dovremmo tornare a ragionare su un maggior grado di indipendenza del Donbass, una vera neutralità, riconosciuta effettivamente da entrambe le parti. Un modello simile al nostro Trentino Alto Adige. Non è una soluzione perfetta, ma in questo momento la priorità è far cessare i combattimenti.

Si è chiesta quale possa essere il punto d’arrivo di questa guerra?

Gli Stati Uniti hanno lanciato segnali inequivocabili: l’obiettivo è distruggere Putin. Io penso invece che a qualsiasi avversario debba essere fornita una via d’uscita.

Altrimenti?

Balliamo sull’orlo della catastrofe. Con un decreto del giugno 2020 Putin ha autorizzato l’utilizzo del nucleare in caso di attentato all’esistenza dello Stato. Cioè in caso di attacco militare distruttivo, ma anche più semplicemente nell’ipotesi di distruzione dell’economia russa, o di un feroce attacco cibernetico.

Crede davvero che l’opzione nucleare sia sul tavolo?

E’ ovvio che le dichiarazioni di questi giorni rientrano in una strategia comunicativa di deterrenza. Ma è anche vero che Putin ha sempre fatto ciò che ha minacciato. Peraltro, più il conflitto si prolunga più si esauriscono le risorse convenzionali del regime, aumentando la probabilità di una risposta di livello superiore. Chi gestisce questa crisi ha il dovere di porsi questi dilemmi. E non penso solo a Putin, ma all’assetto futuro delle relazioni internazionali.

Cioè?

Guardando al lungo termine, anche in maniera un po’ idealistica, mi piacerebbe vedere una Russia più vicina all’Occidente, mentre adesso sta diventando lo scendiletto di Pechino. E questo è un risvolto dannoso per tutti.

Gli interessi di Zelensky coincidono con quelli italiani?

Gli Usa stanno dimenticando che avere un’Italia e un’Europa forte rientra negli interessi degli americani stessi e della stabilità internazionale. Forse per gli Stati Uniti l’Ucraina è più importante dell’Unione Europea?

La Commissione Europea è pronta a unificare i centri d’acquisto per la spesa militare. Un primo passo per l’esercito comune?

Non serve a nulla la difesa comune, se la testa pensante non è europea. Non può esserci difesa europea senza identità europea. Se non esiste una politica estera condivisa, da che parte potrà marciare l’esercito d’Europa?

“Volete la pace o il condizionatore”, chiedeva Draghi. Oggi sembra che la possibilità di pagare il gas in rubli non sia più un tabù.

Scambiare la pace con l’aria fresca è una sciocchezza. Di più: una mancanza di rispetto nei confronti degli italiani, che dovranno rinunciare sia alla pace che all’energia, visti i costi delle bollette.

Eppure il governo si sta dando da fare per trovare fonti alternative al gas russo.

Nel tentativo di rimpiazzare l’energia russa, non mi pare che ci stiamo affidando a governi particolarmente democratici. Non vorrei sostituire una dipendenza energetica con un’altra ancor peggiore. Forse ci sono dittatori buoni e dittatori cattivi?

Si chiama realpolitik.

Esatto. Il premier turco Erdogan venne definito “dittatore” da Mario Draghi: oggi è la persona su cui tutti scommettono per arrivare alla pace, perché ha saputo mantenere un canale di dialogo con Mosca. Forse dovremmo tutti, anche oggi, saper dosare le parole: i nemici che disprezziamo sono quelli con cui dovremo comunque trovare soluzioni. Vale per Erdogan, e purtroppo anche per Putin.

Intanto il governo prepara il terzo decreto sugli armamenti. Il fatto che sia secretato la disturba?

No, mi disturba piuttosto la delega in bianco concessa dal Parlamento al governo. Non si può escludere il Parlamento nel nome della “governabilità”, che per me è antitetica alla democrazia.

Però sugli armamenti a Kiev è allineata alla posizione del suo ex “capo”, Giuseppe Conte.

Forse lui si è svegliato un po’ tardi: il M5s inizialmente ha votato per l’invio delle armi, poi c’è stata un’improvvisa retromarcia. Perché? E non mi si parli di distinguere tra armi offensive e difensive, perché è una spiegazione che non regge.

Dunque che risposta si dà?

Qualche tempo fa mandai un messaggio a Conte, per dirgli: Giuseppe, parliamo della questione delle spese militari? Visti i miei trascorsi alla Difesa, avrei potuto fornire qualche consiglio. Non mi ha neanche risposto. Spero che la sua non sia solo una battaglia di facciata, per intercettare i voti dei cosiddetti “pacifisti”. Intanto il governo fa comunque ciò che vuole.

Conte è accusato di aver usato l’intelligence in maniera disinvolta.

Ha saputo sfruttare da subito i servizi. Nei giorni peggiori della pandemia i russi sono sbarcati in Italia con decine di militari. Abbiamo ricevuto aiuti da Cuba e Venezuela, paesi che non hanno neanche i soldi per curare i loro cittadini. Qualcuno li ha spinti a farlo, probabilmente la Russia, per rafforzare l’influenza sul nostro Paese. Il governo all’epoca non è riuscito ad accorgersene. O forse non ha voluto.

Perché ha lasciato il Movimento cinque stelle?

Ha perso l’identità. Prende la forma dell’acqua a seconda del recipiente in cui lo si mette. Ha perso gli spazi di discussione. I diktat di Beppe Grillo sulla leadership hanno messo tutti in imbarazzo. E a lungo andare il dna del Movimento è stato stravolto.

Ad arruolarla fu Luigi Di Maio, all’epoca molto più “rivoluzionario” di oggi.

Il cambiamento di Luigi Di Maio è iniziato ancor prima di questo governo. Era già passato per tempo dalle conferenze “No Nato” alla postura istituzionale di oggi.

Prima della crisi Ucraina si scontrò anche con lui.

Da ministro chiesi di rinnovare il parco missilistico. Mi urlò contro che chiedevo troppo. Gli spiegai che i missili scadono, come le scatolette di tonno. Il risultato è che, oggi che siamo in guerra, ci ritroviamo a dover recuperare il terreno perduto in fretta e furia.

Dunque che differenza c’è tra il Movimento che ha trovato, e il Movimento che ha lasciato?

L’interesse collettivo è stato sostituito dall’interesse personale a mantenere la propria posizione. Tutto sommato, la parte buona del movimento è quella che ne è uscita. Ma spero possa tornare a unificarsi in futuro. Non voglio un altro Draghi al governo: vorrei un politico con una visione del Paese.

Ma perché ha pensato addirittura ad un nuovo soggetto politico?

Perché manca un partito che abbia una visione di lungo termine e che lavri per il presente guardando al futuro.

Perché nel suo libro si definisce “Un extraterrestre alle Difesa”, riferendosi alla sua avventura da ministro?

Perché penso, con un po’ di orgoglio, di essermi occupata non solo delle armi, ma anche delle persone straordinarie che fanno funzionare ogni giorno la macchina della difesa italiana.

 

Fonte:  LaVerità